Chi ha detto che i blog sui figli li scrivono per forza le mamme?

Archivi del mese: novembre 2019

Quando qualche giorno fa ho detto a mia figlia di 11 anni che – dopo aver lasciato a languire in un angolo del web il daddy blog che avevo aperto anni fa – sarei tornato a scrivere di genitori e figli, e che perciò di quando in quando l’avrei usata come cavia per i miei post, la sua reazione non è stata così entusiastica come mi sarei aspettato. Alla fine però abbiamo trovato un accordo da persone civili: mi sono impegnato a cederle una percentuale dei miei compensi. Ma temo arriverà presto il momento in cui mi chiederà di revisionare i pezzi prima di mandarli online: il daughter’s cut.

Non c’entra niente ma invece sì, e ci arriviamo, oggi ho letto un articolo in cui si citano varie sentenze di tribunali italiani, che ribadiscono lo stesso principio: se i genitori sono separati, ci vuole il consenso di entrambi per pubblicare le foto dei figli sui social network, come per molte altre cose. Il ragionamento alla base è che i bambini sono persone, con una propria dignità, dei propri diritti, la propria privacy: solo che finché restano minorenni i diritti sono esercitati da chi ha la potestà genitoriale; e quindi se i genitori stanno insieme si suppone che siano sempre d’accordo, in caso contrario il consenso dev’essere esplicito.

Sembra una cosa da azzeccagarbugli, ma contiene un principio fondamentale: i bambini non sono persone in costruzione, sono persone e basta. E implicitamente torna a farci porre la questione: quanto è giusto per i genitori – separati o meno – condividere le foto dei bambini su Facebook e Instagram? Di foto e bambini ieri ha parlato anche il New York Times nella sua bellissima sezione “parenting”. L’argomento affrontato è più in generale l’uso pervasivo delle foto che facciamo da quando non abbiamo più 24 scatti nel rullino ma 256 giga nel telefonino (the cloud’s the limit); ma ovviamente si parla anche di condivisione social.

(Continua su Elle)


Mia mamma ha fatto la maestra elementare per 40 anni. Mi racconta spesso che a inizio carriera, una collega più anziana ed esperta la prese da parte e le disse: “Ricordati che verrà il giorno. Perché tu sei una santa e i bambini sono angeli, ma il giorno verrà. Il giorno in cui uno di loro ti farà arrabbiare: rovescerà il banco a terra, prenderà a botte un compagno, prenderà a maleparole te, persino. Verrà il giorno in cui, per qualsiasi motivo, la rabbia e la frustrazione saranno tali che avrai voglia di alzare le mani, che un piccolo ma memorabile schiaffo ti sembrerà una cosa giusta. Ecco, quel giorno ricordati di me, fermati un attimo, vai alla lavagna e scrivi: 27. Ma scrivilo GRANDE”.

(Per apprezzare fino in fondo l’aneddoto, bisogna sapere che: 1) 27, quando esisteva quella cosa chiamata “posto fisso”, era il giorno del mese in cui venivano pagati gli stipendi; 2) nell’immediato dopoguerra, per una persona che era la prima diplomata di sempre nella sua famiglia, considerazioni economiche come il rischio di perdere il lavoro per un momento di rabbia potevano essere più efficaci di avvertimenti morali; 3) mia mamma è la persona più mite del mondo e per carattere e mentalità le botte non le avrebbe mai neanche minacciate, né a scuola né a casa, pur essendo cresciuta in un’epoca in cui erano tollerate come “mezzi correzione”.)

Questa storia mi torna in mente ogni volta che sento parlare di telecamere nelle scuole. Negli ultimi giorni per fortuna se n’è parlato soprattutto in negativo: la proposta di legge che era stata approvata alla Camera ai tempi del primo governo Conte, sembra arenata in una commissione del Senato, senza che ci sia tanta voglia di darle impulso. Lo stesso ministro Fioramonti ha dichiarato che non ha senso partire a razzo e che ci sono “forti dubbi sui costi” (anche lui evidentemente ritenendo più efficaci le considerazioni economiche di quelle morali). Ma sembra proprio che sia cambiata l’aria, con il Conte bis. Eppure io me lo ricordo quando un anno fa c’è stato il primo voto: approvazione bipartisan in Parlamento, sollievo generale sui social, servizi trionfalistici al tiggì, pochissime voci che osavano avanzare dubbi. Oggi invece restano solo i soliti giornalacci di estrema destra, che mi fa ribrezzo anche linkare: uno di questi addirittura ha avviato una raccolta firme. L’aria potrebbe cambiare di nuovo eh, siamo in Italia, e allora vediamo: qual è il problema?

(Continua su Elle)